L'Italia sul ciglio del viadotto
di Enrico Sbandi
L’Italia ha addirittura processato scienziati colpevoli per non aver previsto un terremoto . Figuriamoci per un viadotto che sprofonda all’improvviso.
Genova docet: ogni giorno almeno la metà degli italiani passa quotidianamente sopra un ponte o sotto un cavalcavia costruito negli anni ’50 e ’60. Tutte infrastrutture a rischio di collasso, come si può facilmente riscontrare nei vari interventi tecnici che fioccano dopo la tragedia del viadotto Morandi. Costruzioni vecchie, da sostituire oltre ogni manutenzione ordinaria e straordinaria.
La colpa non è del Grande Malvagio. Sono le contingenze di una società ingolfata e complessa, dove non fa notizia la persona che perde la vita cadendo dalla scala in casa propria, mentre esplode in rete l’immediata caccia al colpevole per i morti contati a decine.
La maledizione vera consiste nell’atteggiamento di alcuni - non pochi - che di fronte al fatto di cronaca, e grazie a Dio, meno di frequente, alla tragedia, risolvono urlando prontamente: “Maledetti!!!”. Non si sa con chi ce l’hanno, mentre i loro polpastrelli corrono veloci sotto l’ombrellone sullo schermo dello smartphone. Ma di base c’è sempre un responsabile preciso e consapevole di quello che è andato storto. Ci deve essere.
È un atteggiamento disdicevole, devastante. Perdente.
Questa è la riflessione che mi sale il giorno dopo la tragedia di Genova. Anziché pregare per quei morti, invocare conforto per le loro famiglie e per i loro cari, indagare con umiltà su fatti e cause, ascoltare esperti veri, subito si imbocca la scorciatoia che porta alla ricerca di chi crocifiggere. Inutile dire che campioni di questo esercizio si stanno dimostrando, ad horas, proprio i politici. Alcuni politici. Ma citarli porterebbe fuori tema.
Ebbene, è il caso di ricordare, in questo Ferragosto quasi autunnale, che se l’Italia di oggi è così non dipende solo da chi l’ha governata e la governa, ma da tutti noi. Il Paese siamo noi, con i nostri comportamenti, con il nostro menefreghismo. Con i diritti inviolabili e i doveri facoltativi. Con un senso di responsabilità spesso malinteso, con la scarsa capacità di condividere conoscenza e intelligenza, inversamente proporzionale alla propensione a moltiplicare e rilanciare il livore. Siamo sprofondati nella maledizione liberatoria, che sdogana la compressione del dolore, nella ricerca di un colpevole ad ogni costo che agevola fantocci politici assurti a leader che sulle tragedie fanno rifornimento di consensi.
Quella maledizione ululata alla luna contro colpevoli tutti da definire, non restituisce i morti, non aiuta a ricostruire e, soprattutto, non porta avanti di mezzo passo un Paese che deve innanzitutto ritrovarsi come grande comunità, al di là delle divisioni che la politica e certi politici esaltano per ampliare la propria fascia di consenso. Condizione che è preliminare a qualunque rifondazione di un sistema che oggi e non da oggi, richiede umiltà, competenze e visione. E che ha bisogno di una ricostruzione dalle fondamenta, altro che di un’imbiancata, per invertire la tendenza di un’Italia sempre più vicina al ciglio di quel maledetto viadotto, pronta a collassare su se stessa.
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