Italia settima industria mondiale. Intanto si prevede segno meno per il prossimo trimestre
Nel secondo trimestre di quest'anno la produzione industriale sconterà il rialzo messo a segno in quello precedente, avverte Andrea Montanino, capo economista di Confindustria. Gli scenari mondiali non sono tranquillizzanti, la domanda internazionale si va a ridimensionare mentre la mancanza di una politica industriale ben definita non rianima un mercato interno che già è debole di suo. Eppure il ritratto tratteggiato dal Rapporto 2019 "Dove va l'industria italiana" del Centro Studi Confindustriale (qui la sintesi) , presentato a Milano il 14 maggio, nella sede di Assolombarda, mostra i connotati di un sistema manifatturiero solido, collaudato, anche se cresce ancora a regime ridotto. Ma che rappresenta la settima forza industriale del mondo ed è nono nella classifica globale dell'export solo perché davanti all'Italia si inseriscono due Paesi come Olanda e Hong Kong fortissimi nel trading, ma non nella produzione.
L'industria è la spina dorsale della nostra economia di cui, insieme con l’indotto, costituisce un terzo del Pil. Avrebbe bisogno, per svilupparsi adeguatamente, di continuità prima che di incentivi, di un esecutivo capace di indirizzare i provvedimenti, verificarne gli effetti e migliorarli, creare quella base di fiducia capace di evolvere in clima favorevole per favorire gli investimenti, come fa notare il direttore generale di Confindustria, Marcella Panucci. Il quadro tracciato dal Centro Studi è schematizzato in dieci messaggi chiave (cliccare per leggerli) : in un mercato meno globale, trainato dall'evoluzione digitale, ma reso più complicato da un intreccio fra multilateralismo e regionalismo, laddove il nostro Paese è riuscito anche recuperare il gap qualitativo che lo vedeva a inizio degli anni 2000 ancora distante dai competitor europei di riferimento, non è più il costo della manodopera la leva di competitività, ma la qualità dei prodotti e il livello delle tecnologie sviluppate e implementate. Siamo in piena transizione di cultura industriale, con un piano Industria 4.0 che ha già portato concreti benefici: non a caso un apposito capitolo del Rapporto confindustriale è proprio dedicato al tema. Dell’iper ammortamento, l’incentivazione fiscale che ha portato le aziende nel cloud e nei processi di integrazione completa in rete, hanno approfittato, contrariamente alle previsioni, in gran numero le piccole e medie imprese: ora è il momento della formazione, occorrono nuove professionalità per tradurre in vantaggio l’impiego delle attrezzature che sono state oggetto di investimento. Ma nell'ultimo anno una devastante discontinuità, solo parzialmente recuperata dal decreto crescita del Governo, che tuttora non è legge dello Stato, è intervenuta a raggelare fiducia degli investitori e prospettive, bloccando anche quel super ammortamento che aveva fatto crescere il mercato interno e che, ormai, solo tardivamente potrà esercitare effetti positivi nella riedizione il cui iter parlamentare andrà a concludersi solo dopo le elezioni europee. Accanto alle incertezze che pesano per i citati motivi sugli investimenti dei privati, brilla in negativo la latitanza degli impegni di Stato, segnati dal crollo, in particolare, della componente pubblica dedicata alle infrastrutture. Non aiuta, anzi complica non poco le prospettive nel quadro più ampio di scenario, l'assenza di una politica industriale europea, area che assorbe oltre i 2/3 delle nostre esportazioni: un'altra questione nodale, che richiede la sinergia fra le volontà politiche dei singoli Stati e l'azione corale in sede di Unione con piani e strumenti d'intervento e non più esercitando soltanto un'azione regolatoria. (qui il Rapporto 2019 in versione pdf)
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